“Grazie per averci inviato il suo cv. Qualora il suo profilo fosse coerente con le ricerche di personale in corso sarà nostra cura contattarla”. La frase è più o meno sempre la stessa. Equivale al laconico “le faremo sapere” che probabilmente le generazioni che ci hanno preceduto hanno almeno avuto la fortuna di sentirsi dire nel corso dei colloqui. Eh sì, perché oggi devi anche faticare per riuscire ad avere un colloquio, per farti dare una chance, per farti vedere come sei e come appari dal vivo, oltre il freddo modulo compilato e spedito on line che omologa tutto e tutti.
Oggi la ricerca di lavoro on line è semplice, diretta e immediata. Ma a volte può risultare una vera e propria giungla, in cui ci si perde – come in una selva oscura – tra freddi moduli da compilare, da riempire di dati con correttezza sennò poi non si carica la pagina successiva e non si può procedere al passo successivo. Oggi il web è tappezzato di inviti a inviare cv a destra e a manca: a Milano cercano questo mentre a Roma potresti avere quest’altra opportunità. E allora il candidato speranzoso (il laureato che dopo tante fatiche e tante corse riesce solo a contemplare quel pezzo di carta sudato e meritato nella cornice alle spalle della scrivania dalla quale disperatamente invia e scrive lettere di presentazione) si fionda nel mare magnum di internet, pronto a candidarsi alle offerte di lavoro più simili al suo profilo; pronto a non perdere la speranza.
Che poi – io una cosa me la chiedo con insistenza – quanti di quelli che inseriscono i cv in maniera spontanea sono stati mai chiamati da un’azienda? Boh. Intanto “il cv è stato registrato con successo”.
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“le faremo sapere”…
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lauree maltrattate
Scrivo il post di getto. Perchè per l’ennesima volta mi sono sentita “maltrattata” per la mia laurea; maltrattata per una laurea in Scienze della comunicazione.
Primo pomeriggio. Raiuno parla dei giovani e delle – scarse – opportunità di lavoro. In studio siedono diversi laureati e Giampaolo Pansa. Mi tocca sentire un “condoglianze” che Pansa indirizza a una ragazza laureata in Scienze della comunicazione. Sono sincera, credo sia una battuta. D’altronde noi scienziati della comunicazione ci siamo abituati, no?
Invece mi tocca ricredermi: non è una battuta. Qui trovo un articolo, anche abbastanza datato, in cui ancora una volta viene tirato in ballo lo studente di Scienze della comunicazione. Ok, può essere una battuta anche questa, un esempio banale, il citare una laurea piuttosto che un’altra. Ma perchè proprio sempre Scienze della comunicazione?
Possibile che oggi, alle soglie del 2012, nel mondo in cui tutto è comunicazione, noi dobbiamo essere considerati dei laureati di serie B? E, badate bene, non siamo fermi alla battuta universitaria di “scienze delle merendine” o del “vi fanno vedere solo i film”. No, qui le battute goliardiche universitarie non c’entrano. C’entra la nostra reputazione. C’entra il vedere lese le proprie ambizioni, i propri sogni e i propri studi. Io non ci sto. Non so voi!
Riporto testualmente una scena vissuta questa mattina che la dice lunga su tutto:
– “Signurì, ma vuje site laureata?”
– “Sì, sì, da un po’ di anni oramai”
– “E k ‘v sit laureata?”
– “In Scienze della comunicazione”
– “Ah, facit a giurnalist!!! Mio figlio invece è ngigner!”
Postulato/domanda: se in tv si continuerà ancora a ragionare così, come potrò mai convincere il cittadino medio che la mia è una laurea come quella di Ingegneria e che Scienze della comunicazione non è uguale giornalismo?
generazione perduta
“Generazione perduta”. Leggo e sorrido. Un sorriso amaro, ovviamente. Perché della generazione perduta faccio parte anche io. Chi sono? I laureati, i diplomati, i dottorati e i masterizzati che sono “stretti nella morsa della precarietà e vedono andare in fumo attese e prospettive di vita” – per dirla con repubblica.it.
La Repubblica ha deciso di dare voci e nomi ai componenti della generazione perduta. Ho letto alcuni commenti e ho deciso di non proseguire. Ho scoperto che ci sono tantissime persone, anche più adulte, alle prese con le stesse difficoltà, alcuni addirittura peggio di me. E allora mi chiedo: che abbiamo studiato a fare? Per ritrovarci a scrivere delle nostre aspettative deluse? Per sognare un mondo che non c’è? O per sperare di entrare a far parte dei pochi non illusi? Le domande non sono semplici. E credo che sarà difficile dare una risposta anche solo a una di queste.
E questo post è solo una risposta a chi, non curante delle difficoltà in cui si imbatte la generazione perduta, invita i giovani a trovare un lavoro, a inviare cv, a non fossilizzarsi sui propri sogni, quasi come se questa generazione preferisse restarsene a casa comodamente seduta in divano. Ma forse è vero: a volte bisogna essere protagonisti di una situazione per capire quello che si prova. Solo i protagonisti possono capire. 😉
“Voglio un mondo all’altezza dei sogni che ho”
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master & co.
Era tutto cominciato come un appuntamento settimanale apparentemente noioso. Tutti sconosciuti radunati in un’aula il giovedì pomeriggio con prospettive di noiose serate passate al freddo e al gelo in spasmodica attesa di qualche mezzo di trasporto che ti portasse a casa prima del previsto. Era cominciata così, e pareva quasi che un anno da trascorrere fosse troppo; è finita diversamente: con un gruppo di una decina di persone (diciamolo pure: personaggi, e che personaggi!) quanto mai diverse, incredibilmente affiatate e disposte a studiare sì, ma anche a divertirsi e stare insieme. Forse tutti gli inizi sono un po’ così, sottotono, e forse ogni fine ha una punta di malinconia. Il gruppo di cui mi accingo a parlare la malinconia non sa neppure cosa sia. E’ un gruppo di gente abituata a far casino, a radunarsi una volta a settimana per studiare, apprendere, e per tante risate che cominciano alle 14 (se non prima), al solito appuntamento alla Riviera, e che finiscono dopo le 20, quando ognuno prende la sua strada per tornare a casa. E’ un gruppo di persone capace di far ritardo pur fermandosi a pranzo a cinque passi dall’aula, capace di ironizzare su tutto e tutti.
Adesso che l’avventura si avvia a conclusione e ora che ognuno di noi ha espresso – con i propri mezzi (chi su Facebook e chi da presentatore…) – qualche parola sul master, io non posso esimermi dallo spendere quattro parole sul mio blog, quello che mi ha fatto guadagnare il soprannome di barruggi per quasi tutta la durata del master! 😉
Innanzitutto un grazie. Per le risate soprattutto. Per l’amicizia più stretta con alcuni di voi. Per la spensieratezza. Per le vostre diversità (e lo so che qui si scatenerà un putiferio). Per battute e pomeriggi storici. Per le gite alla ricerca delle torri. Per l’agendina che mi ritrovo completamente scritta per vostri passaparola. E per aver saputo sdrammatizzare anche in momenti particolari. Grazie al president, alle sue battute, al suo umorismo che ti fa sprofondare improvvisamente con la testa nella borsa alla ricerca disperata di non so che. Grazie al comunicattore, a tutta la Napoli dei cinque sensi, alla Napoli culinaria, al corpo della sirena, ai miti napoletani, ai tipi strani o meno strani che abbiamo incontrato lungo il percorso… Grazie ai miei soci di blog, con cui ho intrapreso una fantastica avventura che non manco di pubblicizzare (Fall in love with Napoli), che spero non finirà, e con cui siamo stati in giro a intervistare anche le pietre di Napoli. Grazie alla mia socia, alla sua napoletanità e ai suoi tour improvvisati alla scoperta di luoghi di cui avevo sentito solo parlare. Grazie al mio socio, “l’unico neo del gruppo”, quello che vogliamo a tutti i costi “tagliare” da questo blog ma di cui – anche se non lo ammetteremo mai – non potremmo mai fare a meno; come si farebbe senza di lui?
E chi se lo immaginava che da un gruppo così eterogeneo nascessero tante storie da raccontare?
Una sola raccomandazione, ragazzi: FALL IN LOVE! (Passaparola!)
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pasqua epifania…
“Pasqua epifania tutte le feste porta via”.
Questo è un po’ il tormentone che ci assilla al termine di ogni vacanza natalizia. E’ la frase che perseguita gli studenti che domani tornano sui banchi di scuola e magari non hanno ancora terminato tutti i compiti loro assegnati per le vacanze (a proposito: se ne assegnano ancora?); è il motto che accompagna chi domani torna a lavoro e avrebbe preferito invece restare rintanato sotto le coperte fino a tardi (brutte le abitudini prese in questi giorni, eh?). Quando studiavo passavo sempre il giorno dell’Epifania a ripetere ed a studiare geografia: l’unica materia che tendevo sempre a rimandare….
Domani si torna anche a fare sul serio: inizia ufficialmente un nuovo anno, di impegni, di obiettivi, di lavoro e – perchè no? – di sogni da realizzare.
Perchè in fondo è vero che “il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni”
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